Non intendo versare fiumi di inchiostro ma limitarmi a un rivolo per chiarire alcuni punti sulla LIM e il suo utilizzo nella didattica servendomi di un contributo interessante e su cui a grandi linee concordo: Dalla Lim alla Lim 2.0, di Mario Gabbari, Roberto Gagliardi, Antonio Gaetano, comparso il 9 febbraio 2012 e pubblicato su Bricks .
Il problema che però si riscontra è quello di un fraintendimento che, pur non inficiando l'analisi della rivoluzione digitale in corso e dei mutamenti che essa comporta sul piano della formazione, tende ancora una volta a tematizzare e porre in primo piano un device, la Lim, piuttosto che quello che costituisce il vero problema: il web e la necessità di assumerlo come ambiente entro il quale è necessario che lo studenti crei il proprio sistema di Gestione Personale dell'Apprendimento o Personal Learning Management.
Finché ci si concentrerà sui device e sulle competenze tecniche necessaria al loro utilizzo, mancherà la consapevolezza teorica non di quanto stia accadendo, ma di cosa questo cambiamento metta in gioco e di cosa occorra fare per affrontarne consapevolmente le conseguenze sul piano formativo: si tratta di procedere a una nuova alfabetizzazione comunicativa e di ridefinire il concetto stesso di realtà entro il quale si sviluppa la comunicazione e la costruzione e condivisione delle conoscenze così come la formazione delle competenze.
Al centro dell'articolo la rivoluzione comunicativa e paradigmatica e le conseguenze che questa rivoluzione determina nell'ambito dell'apprendimento, che comportano l'adozione di un prospettiva educativa vicina al connessionismo.
L'articolo non solo è molto interessante e capace di offrire una analisi delle dinamiche scatenate dall'affermarsi del web in tutti i campi (estetica, educazione, conoscenza, comunicazione, marketing, ecc.), ma suggerisce anche le linee teoriche di un approccio diverso alle tematiche formative.
Apprendimento e Connessionismo
Apprendere significa avere la capacità di percorrere e creare reti informative di natura sociale in cui si attua una costruzione collettiva della conoscenza che si presenta come un sistema distribuito e reticolare. Interessante anche il tentativo di definire il nuovo soggetto umano che si viene affermando in questa trasformazione generale, come il "nuovo barbaro", secondo l'espressione di Baricco, che sviluppa la sua umanità più in senso orizzontale, il surfing tra i dati e le informazioni, che verticale, la profondità della ricerca.
Una incongruenza piccola ma dalle grandi conseguenze
A mio giudizio vi è però una incongruenza e contraddittorietà tra questa stimolante analisi della situazione è la proposta della LIM come "strumento privilegiato" per "sviluppare e perseguire" nuove forme di social learning, cooperative learning e costruzione e connessione di conoscenze sociali e distribuite. E' evidente dallo stesso discorso degli autori che questo strumento è il web e la LIM, nella migliore delle ipotesi, è solo un device per agire nel web, utile e che si deve avere in aula e di cui occorre conoscere il funzionamento, ma non certo privilegiato, a meno di non voler confondere la porta con l'ambiente cui questa ci fa accedere.
Cosa intendo dire? Il caso Semidas o de "La scuola digitale in Sardegna"
Per capire a quali estremi mali, a cui riesce difficile immaginare estremi rimedi, possa portare la svista di chi scambia un device per l'ambiente di apprendimento, cito il pietoso caso di 1.000 docenti, cui è stato affibbiato il buffo nome di "master teacher", condannati alla pena di passare 50 ore reclusi in presenza e 25 reclusi in un ambiente virtuale, per imparare a menadito vita morte e miracoli dei software proprietari delle LIM.
Si tratta forse più di un caso di violazione dei diritti umani che di un esempio da citare in un post sulle nuove tecnologie didattiche, ma è un caso esemplare. Dei software, molto limitati e proprietari, decisamente inferiori a quelli aperti, cloud, di uso libero che sono disponibili in rete; dei software con cui la condivisione di ciò che si produce è problematica e con cui la Lim più che in una finestra aperta verso il mondo si trasforma nella porta di una prigione che impedisce l'accesso al mondo, vengono ad essere assunti come ineffabile meta del percorso formativo di questi 1.000 sfortunati docenti.
Si tratta forse più di un caso di violazione dei diritti umani che di un esempio da citare in un post sulle nuove tecnologie didattiche, ma è un caso esemplare. Dei software, molto limitati e proprietari, decisamente inferiori a quelli aperti, cloud, di uso libero che sono disponibili in rete; dei software con cui la condivisione di ciò che si produce è problematica e con cui la Lim più che in una finestra aperta verso il mondo si trasforma nella porta di una prigione che impedisce l'accesso al mondo, vengono ad essere assunti come ineffabile meta del percorso formativo di questi 1.000 sfortunati docenti.
Dalla LIM al Personal Knowledge Environment
Perché non insegnare alle 1.000 vittime del progetto "Scuola digitale in Sardegna" come fare del web uno strumento di apprendimento attraverso l'utilizzo di quelle migliaia di applicazioni cloud, (web based tools o webware) che consentono di comunicare, collaborare, creare, condividere, organizzare, ecc.? Perché non far loro acquisire le abilità necessarie a costruire un Personal Learning Environment e ad imparare ad apprendere - learning to learn - per rendere il web un Personal Knowledge Environment? Perché non fare in modo che, attraverso la pratica, essi non sviluppino strategie e azioni didattiche per poi trasferire le competenze così acquisite agli studenti? Forse sarebbe una cosa troppo intelligente da fare per pensare che a farla sia chi dirige la baracca scolastica? perché non rivolgersi a quei docenti che sono tanti e da tanti anni portano avanti queste attività anziché studiare a tavolino questi progetti destinati inevitabilmente a fallire? La sola risposta che mi viene in mente è "The answer, my friend, is blowin' in the wind"