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Nel labirinto della società ipercomplessa: Piero Dominici - educare a una cittadinanza matura e non eterodiretta

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Leggere un articolo di Piero Dominiciè come cibarsi di una pietanza che richiede una lunga e laboriosa digestione e, per chi non ha un apparato digerente efficiente e robusto come il mio, c'è sempre il rischio di procurasi un'indigestione se si è troppo frettolosi e ingordi.
Mi limito dunque, in questo post, a sottolineare e commentare qualcuna delle tante idee e suggestioni offerte dal suo articolo "Come educare ad una cittadinanza matura e non eterodiretta", comparso il 01/04/2016 su Forum PA, il sito web collegato all'appuntamento che ogni anno si tiene al Palazzo dei Congressi di Roma e che nasce dal tentativo di far dialogare tra loro pubblica amministrazione, imprese, mondo della ricerca e società civile. 
La stima che nutro per Piero Dominici non è di maniera, ma nasce dal fatto che i suoi interventi sono strumenti per meglio comprendere la complessità e orientarsi nei suoi meandri e sono frutto di un lungo percorso che l'autore ha intrapreso non da oggi, ma persegue con coerenza e coraggio da lungo tempo.

Educare a una cittadinanza matura e non eterodiretta
Tesi centrale su cui è costruito il lungo articolo di Piero Dominici è la centralità della scuola e della formazione nel progetto innovativo di costruzione della cittadinanza attiva e inclusiva, solo a tale condizione si può parlare di "innovazione inclusiva"
Cosa intende Dominici con Innovazione Inclusiva?
Non c'è vera innovazione, ma solo perpetuazione dei rapporti di potere "esclusivi", "feudali" e del "familismo amorale", se l'innovazione non venga consapevolmente coniugata con l'inclusione sin dalla sua ideazione e progettazione. Non si pensi che tale, "apparentemente banale", condizione, sia realmente scontata, lo testimonia la "battaglia culturale" che da anni Piero Dominici conduce su tale tema e che trova un sostanziale accordo nelle parole e dichiarazioni di intenti di tutti gli attori sociali che agiscono sul terreno dell'innovazione, ma viene, di fatto, sostanzialmente ignorata. È il caso dell'imperversante "nuovismo" che domina la scena della progettualità politica e che si può considerare l'opposto della innovazione inclusiva, in quanto si limita a concepire il "nuovo" come ciò che è diverso da quello che esiste. Per tale mentalità riduzionistica, un mutamento qualsiasi diventa "innovazione" e pertanto è valutato come "positivo". In realtà, questo rozzo modo di porre il problema dell'innovazione, non fa che appiattire i "valori" sui "fatti", un qualsiasi mutamento nello "stato di cose" esistente è perciò stesso portatore di un "miglioramento", dell'instaurarsi di uno stato di cose dotato di "maggior valore". Un simile modo di procedere nasce dall'istanza che tende a legittimare la proiezione nel futuro delle vecchie logiche e dei vecchi rapporti di potere, presentandoli sotto l'aura del "nuovo", operazione mistificatoria e ideologica, direbbe Karl Marx.


La cittadinanza digitale e la questione culturale
Che senso ha parlare di "Cittadinanza Digitale" quando "non vengono garantite le condizioni minime della "cittadinanza"?
Ancora: «Possiamo anche soltanto parlare di “cittadini digitali” se prima non educhiamo/formiamo le Persone ad essere, in primo luogo, “cittadini”? »
Perché sia attuabile il progetto di una società aperta e inclusiva occorre affrontare la "questione culturale", principale ostacolo all'innovazione inclusiva. Il traguardo di una cittadinanza attiva e inclusiva non può essere imposto dall'alto, secondo una logica esclusiva. Se l'idea illuministica che non vi possa essere progresso senza diffusione del sapere e della ragione è valida, essa richiede però che si affronti prima la "questione culturale", a meno che non si voglia rimanere vittime della contro effettualità e ottenere, come risultato dell'azione innovatrice mirante all'inclusione, il suo opposto, una ancora più marcata società dell'esclusione. 
Ribadisco, se non si vuole essere una parte di quella forza che desidera eternamente il bene e opera eternamente il male, per parodiare all'incontrario il Mefistofele di Goethe (« Sono una parte di quella forza che desidera eternamente il male e opera eternamente il bene. »), è necessario un cambiamento culturale che sia capace di "innescare e accompagnare quello economico, politico, sociale".
Quindi cominciare dalla scuola e dall'educazione significa porre al centro il pensiero critico, la maturazione di "teste ben fatte", la logica e l'educazione alla complessità e significa anche, riprogettare la scuola e l'educazione attraverso una politica di lungo periodo, tale progetto deve anche costituire il momento centrale della proposizione di un "nuovo umanesimo" che "ponga la Persona", la sua formazione e la sua relazione con l'altro, al centro".
Immagine realizzata da Alessandro Bacchetta e tratta dal suo blog - Il paese dei Balocchi
La danza del Cambiamento e il Paese dei Balocchi
Partendo dall'analisi di Piero Dominici è possibile portare avanti alcuni riflessioni in merito alla politica scolastica di questi ultimi anni, riflessioni che rispecchiano il mio personale punto di vista.
La mobilitazione continua delle risorse umane, che da qualche anno imperversa nella scuola, è un esempio, a mio parere, di come si impone un'innovazione esclusiva che non matura dal basso ma viene imposta dall'alto in un frettoloso susseguirsi di "novità", senza che dietro si avverta un organico disegno complessivo, ma solo la spinta dell'urgenza frutto della incultura emergenziale e, quindi, orfana di un progetto condiviso di lungo termine e ampio respiro. 
Di fatto, un simile modo di procedere, rende legittime le preoccupazioni di chi intravede un appiattimento dei valori formativi alle tendenze del mercato e di ciò che fa notizia. Il tutto ha il sapore del "riduzionismo", in cui la complessità viene intesa come un fascinoso gioco di slogan e strategia dello spettacolarizzazione: eventi, coding, registro elettronico, fablab, workshop, open day, robotica, meeting, PNSD, RAV e MDP, premio per i docenti meritevoli, etc. Iniziative di per sé interessanti e degnissime, ma mescolate e gettate alla rinfusa nel calderone della scuola. 
I risultati sono spesso quelli di chi ingurgita troppo cibo in troppo poco tempo, non si fa in tempo a digerire. Inoltre le pietanze vengono preparate in modo approssimativo e non sempre la cottura rispetta i tempi, si veda come vengono gestite molte di queste "novità", come il registro elettronico o il premio ai docenti meritevoli, o l'organico di potenziamento. Il "troppo stroppia" non sembra massima tale da incutere timore a chi dal ministero conduce la "danza del cambiamento".
La mobilitazione continua e forzata delle persone è uno degli strumenti tipici di quei regimi che mirano a far sentire le persone massimamente protagoniste proprio nel momento in cui non sono più persone ma massa eterodiretta. 
E così proprio mentre, per dirla con le parole di Piero Dominici "l’attenzione andrebbe posta sulle Persone, sul sistema di relazioni, sul contesto educativo e culturale, sui mondi vitali (!), in una prospettiva che – continuerò a ribadirlo sempre – non può che essere sistemica, multidisciplinare e interdisciplinare" [Piero Dominici, Il grande equivoci. Ripensare l'educazione (#digitale) per la Società Ipercomplessa], si mette in scena lo spettacolo circense dell'innovazione senza progetto, del perbenismo innovativo, del paese dei balocchi digitali, e si ignora la valenza politica, pedagogica ed etica dell'educazione al digitale, che deve costituire non solo lo strumento per il saper fare e lo sviluppo di competenze (anche questo), ma soprattutto lo strumento per abitare nella società ipercomplessa, superando le diseguaglianze e rendendo possibile la libera e responsabile co-costruzione della personalità in uno spazio relazionale inclusivo [Vedi il già citato articolo di Piero Dominici].

Post Scriptun
Nell'ultimo paragrafo ho utilizzato concetti e strumenti elaborati da Piero Dominici per esprimere mie opinioni personali sulla politica scolastica di questi ultimi anni.

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